Presentazione

Dario Fo

 A noi non interessava contestare i cantanti o le canzoni, ma soprattutto il contesto culturale del festival. Da quella contestazione prese il via anche in Italia l’afferma- zione di una nuova idea della figura del cantore e dell’autore, che canta spesso con la sola chitarra e si muove nell’ambito della grande tradizione musicale internazionale, dai Beatles in avanti. La nostra èstata una iniziativa molto importante e soprattutto collettiva, perché insieme a noi si sono mossi centinaia di giovani, autori e musicisti diversi. Il luogo dove si svolse la manifestazione era un luogo vera- mente metafisico: Villa Ormond, una sorta di palestra con grandissime vetrate e situata all’interno di un parco meraviglioso dove si coltivavano fiori e frutta tropicali. Ci sembrava di essere in una grande serra, dove insieme a tutti i numerosi partecipanti abbiamo provato momenti di grande preoccupazione per il timore dello scoppio di un ordigno, che avrebbe rotto i vetri e causato una pioggia di frammenti su tutti coloro, che si trovavano all’interno, e con conseguenze gravissime. Dentro eravamo davvero tanti, stipati all’inverosimile. Moltissime persone, che con coraggio sfidarono quella paura, mosse dalla consapevolezza di scardinare una mentali- tà ed un luogo comune della musica: si stava entrando in un altro spazio ed un altro tempo.

La quantitàdi polizia presente in cittàfaceva impressione, sembrava la fine del mondo. Tutto quello schieramento di uomini era semplicemente in difesa di una tradizione canora che portava denaro ed era diventata un vero affare internazionale, prodotto dalla televisione italiana e venduto all’estero. Quindi eravamo in presenza di un atto in difesa di un capitale, di un affare, di un profitto contro una diversa idea di rinnovamento e trasformazione del modo di cantare e del mondo della canzone. Una idea, la nostra, che prendeva a riferimento soprattutto il canto popolare. Il nostro movimento era contro una falsa popolarità, espressa dalla canzonetta, perriprendere quella che i ricercatori avevano chiamato all’epo- pea culturale popolare. Nonostante il clima di forte tensione ho un bel ricordo anche degli abitanti della cittàdi Sanremo, soprattutto dei giovani che parteciparono alla manifestazione con entusiasmo e contenti del fatto che proprio nella loro cittàsi aprisse una fase nuova di rottura con una tradizione obsoleta e negativa. Ma anche le persone non piùgiovani e semplici capivano l’importanza del momento e ci esprimevano solidarietà. Nettamente ostile con noi era il potere politico ed economico della città, quello che viveva non con i fiori, ma con gli affari legati al festival e che vedeva con preoccupazione la nostra iniziativa per il timore dell’affermarsi di un nuovo linguaggio e di una nuova cultura musicale, cosa che sarebbe accaduta negli anni successivi.
La nostra manifestazione èstata la scintilla per far apparire sulla scena che non c’era piùun unico festival. Quell’anno i festival furono due: avevamo rotto il monopolio festivaliero della musica. Quella manifestazione liberòenergie fino ad allora poco conosciute in campo culturale, musicale, letterario e teatrale. Alcuni cantanti, alcuni anche importanti, fra quel- li che partecipavano al Festival ci appoggiarono perchèavevano capito che la contestazione non era rivolta contro di loro, ma aveva radici e motivazioni più profonde. Ma a distanza di oltre 40 anni rimane ancora fortissimo il ricordo incredibile ed irreale di una cittàmessa in statod’assedio, con la polizia schierata in assetto di guerra contro dei giovani che vole- vano soltanto cantare in modo diverso. L’esercito e le forze dell’ordine erano state schierate in difesa della canzonetta aggredita dal canto. Quello per capirciera il tempo del“Ci ragiono e canto”con interpreti molto bravi della musica popolare e che rappresentavano diverse regioni. Artisti come Ivan Della Mea, Paolo Ciarchi, il Gruppo Padano di Piadena, il coro del Galletto di Gallura, Giovanna Marini, Caterina Bueno, Rosa Balistreri solo per citarne alcuni.

We were not interested to protest against singers or songs, but mostly with the cul- tural context of the festival. From that protest, also in Italy the affirmation of a new figure of singer and author started over, a singer often accompanied by just a gui- tar and placing himself in the international musical tradition, from Beatles onwards. Our initiative was very important and collectively shared, as hundreds of young authors and musicians joined us. The location of the event was a truly meta- physical one: Villa Ormons, a sort of gym with very big windows in a wonderful park with tropical flower and fruits. We had the impression to be in a vaste indoor gre- enhouse, where the numerous participants altogether worried when an explosive device broke glasses and caused a rain of fragments on the audience, with very serious consequences. Inside there were many of us, incredibly packed. A lot of people who were brave enough to challenge that fear, moved by the need of chan- ging mentality and stereotypes in music: we were entering in a new space and time.

All that line-up of men was only to protect a musical tradition, which had become a rich international business, produced by the Italian TV and sold abroad. So we were witnesses of an act of defence of businesses, capitals, profits, against a different vision of singing and of the world of music. Our idea made reference to folk songs. Our movement was against a fake pop spirit in favour of what scholars used to call the “Popular Cultural Epic”. Despite the tension, I have a good memory of the inhabitants of Sanremo, especially the youth, who enthusiastically took part in the event, content for a new phase- opposed to a negative and outdated tradition- was coming to life in their town. But also the normal and older folks understood the importance of the moment and showed their solidarity. The political and financial powers were openly against us, those living not with flowers, but with businesses linked to the festivals, worried that our initiative could spread out a new language and a new musical culture, which actually happened in the following years.

The number of police in town was impressive, it looked like the end of the world.

 

More than 40 years later, I have the memory of a town under siege, with police in riot gear against young folks who just wanted to sing differently. The army standing for “canzonetta” threatened by the “canto”. That was the time of “Ci ragiono e canto” with very good inter- preters of popular music from different regions. Artists such as Ivan Della Mea, Paolo Ciarchi, il Gruppo Padano di Piadena, il coro del Galletto di Gallura, Giovanna Marini, Caterina Bueno, Rosa Balistreri, just to name a few. Our event was a spark to put an alter- native to the festival on the map. That year, there have been two festivals: we had broken the Festival’s monopoly of music. That event brought to life little known tendencies in cul- ture, music, literature, theatre. Some singers, also the important ones, among those par- ticipating to the Festival, supported us because they had understood that the protest was not against them, but it had deeper motivations and roots.